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Perché ci vergognamo di dire "mestruzazioni"?

  • Immagine del redattore: radicatenelcorpo
    radicatenelcorpo
  • 22 gen
  • Tempo di lettura: 2 min

Quante volte, invece di dire la parola mestruazioni, ci nascondiamo dietro eufemismi? “Le mie cose”, “Quel periodo del mese”, “Sono indisposta”. Frasi che usiamo quasi automaticamente, come se pronunciare quella parola fosse qualcosa di sbagliato o inopportuno.


Non è curioso che, in una società dove tutto è condiviso, dai dettagli della nostra giornata ai momenti più privati, parliamo di qualcosa di così naturale solo a mezza voce? Le mestruazioni riguardano metà della popolazione per buona parte della loro vita, eppure sono avvolte da silenzi, battute imbarazzate e termini vaghi.


Questa abitudine non è solo una questione linguistica. È il riflesso di un tabù più profondo che ci insegna fin da giovani a trattare il ciclo mestruale come qualcosa di cui vergognarsi o da nascondere. Pensateci: quanti di noi hanno provato imbarazzo comprando assorbenti al supermercato? O quante volte abbiamo usato frasi come “ho un po’ di mal di pancia” per evitare di dire la verità?


Ogni cultura ha i propri eufemismi:

- In Italia diciamo “sono indisposta” o “ho le mie cose”.

- In Francia si parla di “Les Anglais ont débarqué” (gli inglesi sono sbarcati).

- In inglese, c’è chi dice “Aunt Flo” (zia Flo) o “Shark week” (settimana degli squali).


Ma cosa succederebbe se iniziassimo a chiamare le cose con il oro nome? Se cominciassimo a parlare di mestruazioni con la stessa semplicità con cui parliamo di un mal di testa o di una giornata storta?


Parlare apertamente di mestruazioni non significa solo rompere un tabù. Significa riconoscere il valore e la forza insita nel nostri corpi, creare consapevolezza e abbattere pregiudizi. È un atto di impoteramento, perché ci permette di riappropriarci di un aspetto fondmentale della nostra vita, sfidando i condizionamenti culturali che ci hanno insegnato a nasconderci o a sentirci in difetto.




 
 
 

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